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Il mio diabete


Esperienze di una ragazza diabetica

 

Mi chiamo Marta Barbieri, ho vent’anni e ho il diabete da quando ne avevo due e mezzo. Lo scorso 17 dicembre abbiamo celebrato il diciottesimo anniversario dell’esordio. Mi sento quindi piuttosto preparata nell’argomento che mi è stato affidato “diabete e scuola” in quanto il diabete mi ha accompagnata dalla scuola materna fino all’università. Non che io abbia molti ricordi di quando ero proprio piccola. L’unico ricordo che riguarda il diabete e la scuola materna è l’incapacità delle suore della scuola (soprattutto di una), di capire che io me la sapevo cavare benissimo e che, sebbene avessi tre anni, sapevo perfettamente cosa potevo mangiare e cosa no. Ricordo che una volta la suora mi vide mangiare una caramella, che la mamma mi aveva raccomandato di mangiare solo in casi di emergenza, e volle che io la sputassi. Ovviamente a salvarmi quella volta fu la mia ostinazione: serrai la bocca e nonostante le insistenze e i rimproveri, continuai dritta per la mia strada. La determinazione è stata senz’altro un’arma vincente a proposito del diabete. Grazie alla determinazione non mi sono mai preclusa nessuna strada, nonostante le ipoglicemie, le punture da fare e tutti i piccoli inconvenienti che a volte succedono. Il periodo della scuola elementare è per me invece ricchissimo di ricordi: la maestra si dimostrò subito disponibilissima a capire quello di cui avevo bisogno e si inventò persino il modo di rendere le mie ipoglicemie un privilegio. Infatti preparò una scatola di latta coloratissima, piena di caramelle, che ripose nel suo armadio, alla quale solo io potevo avere accesso, in qualsiasi momento ne avessi avuto bisogno. E l’attenzione della maestra fu sempre viva in tutti e cinque gli anni di scuola elementare. La scuola che frequentavo era a tempo pieno, quindi prevedeva anche la mensa. Ogni giorno poco prima dell’intervallo del pranzo uscivo in corridoio dove trovavo il papà, la mamma o anche la nonna, che provvedevano a misurarmi la glicemia e a farmi l’insulina. Questo accadde fino alla terza elementare. Infatti quell’anno partecipai al primo camposcuola a Misurina. Sebbene io abbia passato metà di quella settimana a letto con la febbre, fu un’esperienza determinante per la mia autonomia riguardo l’iniezione, tanto temuta anche da alcuni miei compagni di avventura, più grandi di me, che si ostinavano a non farsi la puntura da soli. Ricordo che gongolavo un bel po’ quando la Prof.ssa Monciotti mi additava come esempio da seguire per la mia intraprendenza: avevo otto anni e già mi punzecchiavo senza paura. Tornata dal campo, non fu più necessario che qualcuno venisse a farmi la puntura in pausa pranzo. Cominciai ad arrangiarmi e quello fu l’inizio della mia vera indipendenza. Quando frequentavo la quarta elementare, la maestra, visto che stavamo studiando il corpo umano, mi chiese di tenere una lezione ai miei compagni sul diabete. Ovviamente i miei compagni sapevano tutti il perché delle caramelle, delle punture, delle mie uscite in bagno anche se durante le verifiche, e non mi avevano mai fatto pesare i miei privilegi. Passai settimane a preparare, con l’aiuto della mamma, un libricino che li aiutasse a capire cosa mi succedeva, in che cosa consistesse la mia malattia. Il giorno della mia lezione ero emozionatissima: utilizzai tutte le conoscenze acquisite durante i campiscuola e i corsi pomeridiani con la Prof.ssa Monciotti, e spiegai ai miei compagni perché dovessi farmi le punture, mostrai loro come potevo misurarmi la glicemia e come decidevo quanta insulina farmi, in base al risultato. La cosa destò un grandissimo interesse e ci fu anche chi alla fine venne da me e mi disse: “Che fortunata che sei che puoi fare queste cose!!” . Gli anni delle medie furono meno entusiasmanti sotto questo profilo. I professori sapevano del diabete e ammettevano qualche uscita dalla classe in più, ma senza troppo preoccuparsi della cosa. Anche i miei compagni ne erano al corrente ma la maggior parte di loro ha sempre dimostrato la più totale indifferenza, cosa che non mi infastidiva affatto, perché significava che per loro non si trattava di un problema rilevante. Finite le medie, scelsi il liceo Classico e fin da subito ebbi grandissime soddisfazioni sotto il profilo scolastico. I miei genitori avevano provveduto ad avvisare professori e Preside delle mie necessità e non si era prospettato alcun problema a riguardo. Senza nemmeno bisogno di un certificato portai a scuola il glucagone, conservato nel frigo della stanzetta dei bidelli. Con i miei compagni invece fui più cauta. Inizialmente non avvertii nessuno, ma mano a mano che le settimane passavano e cominciavo a conoscere alcuni di loro, trovai giusto informarli del fatto che ero diabetica, se non altro perché se fossi stata male avrebbero saputo cosa fare. La notizia non fece scalpore, posto che ero riuscita a non ingigantire il problema facendo capire ai miei nuovi amici che nulla mi era precluso di una vita normalissima. Precisazione fondamentale: a far apparire il diabete come una malattia grave si fa prestissimo. Basta esagerare un po’ e le persone potranno cambiare modo di guardarti perché sei malato. Come altre persone vedano noi diabetici dipende unicamente dal modo con il quale noi ci poniamo e parliamo della nostra malattia. Io stessa sono stata tacciata di incoerenza una volta: un anno e mezzo fa, proprio io, ho scoperto che mio fratello ha il diabete. L’ho capito subito, nel giro di una serata. E quando l’ho detto ai miei amici, alle persone per me più care, seppur dispiaciuti, non si sono scomposti più di tanto. Cercavo di far loro capire la gravità della cosa e non ci riuscivo. Uno di loro ad un certo punto mi ha detto: “Ma scusa, è da anni che tu ci dici che sei normale e adesso fai una tragedia!!” . In quel momento ho capito di avercela fatta. Di aver avuto una dose di determinazione sufficiente a non farmi fermare da niente. Attualmente frequento il secondo anno della facoltà di giurisprudenza all’università di Padova. L’Università è un mondo completamente diverso dell’ambiente ovattato della scuola superiore. Bisogna essere autonomi ed intraprendenti, saper gestire gli impegni, i corsi e lo studio. Le materie di cui mi occupo mi interessano tantissimo e per ora ho avuto grandissime soddisfazioni. Per quanto riguarda gli amici, sono stata fortunatissima. Fin da subito si è formato un gruppo molto affiatato di persone davvero in gamba con cui ho la fortuna di studiare ma anche di uscire la sera. Mi sono posta quasi subito il problema di come informarli del diabete. Ad alcuni l’ho detto quasi subito nonostante non sentissi l’esigenza di giustificarmi. E loro hanno reagito benissimo, dimostrandomi il loro sostegno se avessi avuto bisogno di qualcosa. Con altri ho attuato una tecnica particolare: mentre si parlava del più e del meno ho cercato di portarli sull’argomento diabete. Nessuno si è insospettito. In questo modo ho capito cosa ne pensassero, quali fossero le loro convinzioni, i loro pregiudizi, le conoscenze giuste o sbagliate. Ho sentito delle cose incredibili. Qualcuno era convinto che il diabetico dovesse girare con la flebo attaccata; qualcun altro confondeva diabete e celiachia; ne ho sentite parecchie devo dire… mentre sorridevo tra me e me, sono stata interpellata. E allora ho parlato. Ho spiegato loro cosa avessi, in cosa consistesse la mia malattia tra lo stupore generale. Alla fine la cosa i è risolta quasi tra le risate. Adesso quasi tutti sanno che quando scompaio prima di pranzo è perché mi vado a fare la puntura, che se mi vanno a prendere il caffè alla macchinetta non ci devono mettere lo zucchero, ma sanno anche che se andiamo a prendere il gelato una sera, ci vado anche io… e aggiungo un’unità! 

Marta

 

 

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