“Il” diabete. Ero piccola. Solo una bambina di sei anni. Una bambina consapevole solo di essere al mondo e incosciente di tutto il resto. Una bambina che sognava prima di addormentarsi, e che voleva avere la mamma accanto perché le leggesse un libro prima di chiudere quegli occhioni neri neri, e sprofondare in un sonno ricco di avventure. E poi il mio corpo cambiò rapidamente, dimagrii, non divenni spaventosa, parlo di qualche chilo in meno del normale. Mi visitarono: scoprii di avere il diabete. Mia madre, ogni sera, dopo il libro, mi spiegava che avrei dovuto voler bene ad esso. Che sì, era una malattia, che aimhè sarebbe durata per sempre, ma che insieme saremmo riusciti ad affrontarla, che era banale per una ragazza forte come me. Ed io, sempre la bambina di sei anni, rispondevo annuendo, con un sorriso. Quelle poche volte che sento che il diabete è una scocciatura, papà mi dice che sono stupida. Sono consapevole di esserlo. “Il” diabete non è quel tipo di malattia che ti cambia la vita, te la rende solo speciale. Non mi sono mai sentita diversa da tutti, non ho mai provato tanto odio, e nemmeno invidia. Ciò che possono loro, lo posso pure io, solamente in circostanze diverse. Quando incominciai a crescere, scoprii i pregi del diabete. Ho conosciuto persone nuove, simpatiche, socievoli. Potevo anche dire di avere la glicemia bassa, e di uscire dalla classe. Okay, questo l’ho fatto solo una volta, per il resto era vero. Il diabete è come una stella, ferita, ma che con le persone che ti amano accanto e con la forza che ci si sente dentro, la ferita si chiude sempre più. Non voglio illudere, rimarrà sempre la cicatrice, ma non sarà un peso averla. Ci farai l’abitudine. Ora sono una ragazza di 14 anni, matura. Ormai il diabete è parte di me. E lo sarà per sempre. Impariamo ad amarlo, non vale la pena fare il contrario.
C.C.
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