Siamo i genitori di Karim e da due anni viviamo la realtà di chi convive con il diabete e la celiachia. Ci abbiamo impiegato più di un anno, prima di riuscire ad avvicinarci ad altri genitori e all’esperienza della terapia di gruppo. Forse ognuno di noi ha tempi di reazione diversi di fronte alla scoperta della malattia e al dolore in genere. Molti sentimenti e stati d’animo si sono accavallati in questo tempo: lo sbigottimento, l’incredulità, il dolore, l’inadeguatezza, la memoria che corre al periodo della gravidanza, a tutti gli accertamenti per avere la sicurezza sul futuro del nascituro, alla parola magica del pediatra dopo la nascita "il bambino è sano" ovvero "normale".
E alla normalità si associa la fisicità e le funzioni ad essa connesse.
Ma chissà perchè non ci era venuto in mente di considerare l’aspetto emotivo: sarà capace di amare, di emozionarsi, di sorridere… insomma avrà una normalità di sentimenti?
Con queste premesse crediamo che la terapia di gruppo come mezzo per affrontare la nuova dimensione del vivere aiuti molto, aiuti a non sentirsi soli, a farci capire che le nostre paure sono comuni a chi vive questa esperienza, non consola ma forse e soprattutto aiuta a tirar fuori tante potenzialità che la cosiddetta condizione di normalità addormenta.
Potremmo dire un’esperienza rasserenante, anche se siamo convinti che la figura del terapeuta che ci ha accompagnati in questo viaggio potrebbe dire molto di più. Ci rimane solo un dubbio: perchè a distanza di qualche mese dalla fine di questo ciclo di incontri non ci siamo più sentiti?…. sappiamo tutto? non serve più parlarci, scambiare opinioni…. non abbiamo tempo?… appunto qual è il tempo della vita?
Fassina Michele e Dinora
Di fronte alla proposta di partecipare ad un ciclo di incontri sui problemi psicologici connessi al "diabete" di mia figlia, confesso di aver provato un sentimento ambivalente.
Da un lato l’idea di poter fare qualcosa che in qualsiasi modo potesse giovare alla salute fisica e psichica della bambina mi sembrava un’occasione da non perdere in nessun caso. Per di più una certa familiarità con i problemi della crescita, acquisita con letture personali nella ormai lunga esperienza di genitore, rendeva particolarmente interessante la prospettiva di un confronto diretto con una psicologa e con altre persone interessate alle stesse problematiche.
D’altra parte avevo come la sensazione di dove scoprire una parte nascosta e intima della mia personalità, quella in cui trovavano posto le paure più o meno latenti, il senso di impotenza di fronte alla "sventura" che mi era capitata, le riflessioni maturate nei silenzi e nelle notti insonni successive al manifestarsi della malattia.
Sarei riuscito a condividere con altri i miei dubbi e le mie angosce? Sarebbe prevalsa la voglia di capire e approfondire i vari temi proposti o il senso di riservatezza e di tutela della propria intimità?
La forte convinzione a partecipare all’esperimento espressa da mia moglie, che fino ad allora ritenevo poco incline ad esperienze del genere, ha rappresentato la molla decisiva.
E’ cominciato il primo incontro, tra speranze e dubbi inespressi… e poi tutto è proseguito di sabato in sabato in modo assolutamente facile e naturale, quasi come appuntamenti con la propria coscienza.
Merito delle altre coppie, con le quali si è manifestata da subito una naturale cordialità, merito certamente della dott.ssa Francescon che ha contribuito a creare un positivo clima di dialogo e fiducia.
Si sono susseguite così, senza schemi prefissati, riflessioni sul nostro modo di affrontare la malattia, manifestazioni di preoccupazioni e ansie per il presente e il futuro dei ragazzi, confronti con i coetanei "sani", discussioni sul giusto grado di autonomia da riconoscere loro; il tutto accompagnato dal racconto di esperienze più o meno recenti, da osservazioni sulla crescita e la maturazione dei ragazzi, da ipotesi suggestive anche se molto "soggettive" sulla percezione che i ragazzi hanno della loro condizione.
Lo scambio di idee ha sempre trovato nuovi stimoli nella consapevolezza di acquisire insieme una più profonda sensibilità verso il problema del diabete nei ragazzi adolescenti, con la speranza che una accresciuta conoscenza degli aspetti psicologici possa avere benefiche ricadute sul clima familiare e quindi sulla convivenza dei ragazzi con la malattia.
Gli incontri sono sempre stati animati dal desiderio di comunicare e ascoltare diverse esperienze, di trovare nelle realtà altrui risposte ai propri dubbi e incertezze, di scoprire metodi più efficaci per soddisfare le esigenze di "normalità" e serenità dei nostri figli; e ancora dal desiderio di trovare strumenti in grado di mitigare il "tormento" che sembra affiorare dal fondo dell’animo di ciascuno di noi, variamente camuffato da sprazzi di razionalità.
I risultati?
Tanti o nessuno….
Forse nessuno, se dagli incontri qualcuno di noi si fosse aspettato una risposta certa e definitiva anche ad uno solo dei problemi della vita quotidiana.
Tanti e importanti, invece, se al termine del ciclo, come è successo a me, abbiamo imparato a riflettere in modo più consapevole sulla vita di un ragazzo con il diabete e dei suoi genitori. Mettendo in secondo piano per un po’ termini quali insulina, dieta e glicemia, e dando spazio agli aspetti di sviluppo emotivo di una persona, che mantiene inalterato il diritto ad una vita piena e felice con la partecipazione attiva della sua famiglia.
Risultati per me sicuramente efficaci anche nell’immediato, in quanto hanno contribuito ad alleviare il senso di "tensione" e talvolta di "impotenza" che mi attanaglia di fronte ad un insuccesso della terapia o al pensiero delle difficoltà future per mia figlia. Come se l’essere riuscito a dar voce alle preoccupazioni più nascoste avesse reso più sopportabile e rilassata anche la gestione giornaliera del diabete.
Con un unico cruccio finale: mi è rimasto un sentimento di ambivalenza… partecipare alla prossima esperienza o lasciare il posto a qualcun altro????
Paolo Forti